Spazialità «iletica»

La fenomenologia radicale ha individuato le caratteristiche peculiari di un vissuto della spazialità di altro tipo di contro a quello obiettivo, descritto circostanziatamente da Husserl. Nel senso che, se lo spazio vissuto dall’indigeno d’Occidente è uno spazio in cui ci si muove secondo una certa linea cinestetica, cioè secondo una data direzione, nella quale in qualche modo sono predeterminate anche le manifestazioni successive, poiché concordano sinteticamente nella medesima unità di senso, non sembra che così avvenga nelle culture non occidentali, e per meglio specificare l’area fenomenologica dell’indagine, non pare che lo spazio, ovvero il criterio d’ordine della simultaneità delle manifestazioni sia vissuto allo stesso modo.
Infatti, le culture non occidentali, ignorando la struttura di senso «invarianza/variazioni», com’è noto, isolata dalla fenomenologia radicale, e che fonda fin dalle origini l’Occidente, non pensano, né si muovono contemplando la distanza tra il polo invariante, sempre identico a se stesso e il polo delle variazioni, funzionale all’invariante stesso, bensì vivono il dinamismo del reale in senso «metamorfico», ovvero coniugano l’identico col diverso, laddove l’«identico» non è necessariamente sempre uguale a se stesso, bensì può essere altro da sé, pur conservando la propria «identità» (identità iletica e non noetica). La metamorfosi presenta un mutamento del permanere e un permanere del mutamento: i vissuti si connettono tra loro per analogia o per contiguità sia spazio/temporale che affettiva. Esemplarmente, così è l’«ibrido» che costituisce un «identico» che è tale solo in quanto ricapitola tutte le sue «variazioni» o differenze e combacia con queste. Laddove il reale è inteso non in maniera «oggettiva», né «naturale», bensì come ciò che si presenta «manifestativamente pesante», ossia «rivelativamente», nel senso che l’apparire coincide con l’essere (Cfr. Realismo segnico), il suo dinamismo e, dunque, lo spazio, in assenza del soggetto/testimone oculare, non può essere impaginato noeticamente, né costituito prospetticamente, bensì si tratta di uno spazio iletizzato, vissuto in modo paratattico, discontinuo, qualitativo, ubiquo, sempre veicolato dalla hyle. Indicativamente, lo spazio per l’indigeno delle culture non occidentali si definisce a partire dai contenuti iletici e non dalla noesis soggettiva che, come si è detto, in tali contesti è assente, essendo, invece, vigente una noesis di tipo impersonale.




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