10.

Trattare fenomenologicamente un dato culturale (segno) significa sospendere preliminarmente ogni atto posizionale di esistenza e di senso che, se non sospeso, combinandosi contestualmente con l'atto di coglimento, induce la coscienza a costituire e ad assumere tale dato sempre come "ovvio", come "già dato", cioè come se esso non fosse stato intenzionalmente posto. Muovendo, successivamente, dal residuo di tale neutralizzazione, è possibile isolare e sottoporre alla luce dell'analisi il suo senso vissuto intenzionale o i molteplici sensi intenzionali che hanno posto in essere e animano tale segno, costituendolo, appunto, come segno culturale significante insieme a tutti gli altri. Non essendo, infatti, un'analitica che non abbandoni mai il terreno del senso oggettivo, l'analisi fenomenologica di un segno culturale non procede mai muovendo, per così dire, dal "tegumento esterno" del segno verso il suo senso vissuto di riempimento e, in ultima analisi, genetico, che ha posto in essere e anima tale segno. Al contrario, constatato che i vissuti intenzionali del segno culturale non siano in alcun modo visibili, neanche allo stato di mera, labile, traccia, per così dire, "all'esterno", cioè sull'involucro oggettivo del segno1 , la fenomenologia muove dalla preventiva, radicale, neutralizzazione dell'oggettività stessa del segno, alla ricerca del vissuto intenzionale che ha costituito intenzionalmente il segno e che l'atteggiamento obbiettivante ha obliterato.

Diversamente, allora, da ciò che la postura indigena ritiene, tutte le "ovvietà" di essa non hanno per la fenomenologia valore originario alcuno - nel senso fenomenologicamente tecnico di non essere delle Selbstgegebenheiten - e tale analitica rinvia, pertanto, ogni "datità" alla sua specifica genesi di senso e di esistenza che deve essere dissepolta e indagata, dipanando e seguendo uno per uno i fili, spesso aggrovigliati, delle intenzionalità costitutive dei noemi, di cui ogni segno culturale è, sotto lo sguardo non fenomenologico, il precipitato oggettivo. Il dato è, quindi, per la fenomenologia come un intricato tessuto di fili intenzionali da dipanare per trovarne il capo, cioè l'origine genetica di senso e di esistenza di esso. Senza l'analisi fenomenologica, questi vissuti intenzionali, resi del tutto invisibili dal vestito di idee dell'ovvio, giacerebbero inosservati, perché sedimentati sotto i segni stessi da essi generati. Va ripetuto, ancora una volta : questo generale celarsi dell'intenzionalità non è, a mio avviso, patologico, come ritiene E. Husserl, perché è del tutto consustanziale a qualunque postura indigena sana, anzi coincide, addirittura, col senso costitutivo ed esistenziale di questa. Essendo ecumenica, quindi, tale condizione è, evidentemente, fisiologica.

 

1.     5.     8.     9.     13.

 


 

1. Se, del resto, fossero visibili, la fenomenologia, come tecnica di disseppellimento della intenzionalità costituente, preceduta dalla epochè, non si renderebbe in alcun modo necessaria.

 


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