Analitica contrastiva

A differenza delle analitiche obbiettivanti (teorie scientifiche e metafisiche), quella fenomenologica è un'analitica che tende ad annullarsi totalmente nel piano manifestativo stesso, in misura direttamente proporzionale alla fedeltà nella registrazione di ciò che si mostra. Si tratta dunque di una tecnica eminente, anche se non esclusiva, in grado di dischiudere il campo dei vissuti che riempiono semanticamente i segni culturali e di rifletterli senza obbiettivarli.
Da quando la fenomenologia radicale ha mostrato che l'universo dell'oggettivo, lungi dall'esaurirsi - come riteneva Husserl - nella sfera mondana, è l'esito generalissimo di un logos strutturato e strutturante in base alla relazione polare invariante-variazioni (di cui il soggetto è uno dei frutti), non è più conseguibile una sospensione dell'oggettivo senza mettere tra parentesi anche il polo egologico. Questa risoluzione necessitata, che implica per l'indagine fenomenologica radicale l'impossibilità di egocentrarsi, conduce ad una analitica singolarmente eccentrica. Ma è proprio questa eccentricità a rendere possibile la comprensione dell'altro come altro, non già come diverso, cioè come l'oggetto che un io antropologico ha precipitato gettandolo, dopo averlo costituito, a debita distanza di fronte al proprio sguardo. Nasce così un'analitica autenticamente transculturale che può affrontare tutte le culture, isolandone eventuali analogie su basi fondamentalmente e inizialmente contrastive, senza coincidere, per partecipazione, con alcuna di esse in sede di analisi.

Nell'analitica contrastiva i concetti che impieghiamo nel contrasto - i nostri concetti, le nostre categorie - restano nel campo di analisi ma vengono messi assieme agli altri, accostati agli altri, in una forma, per così dire, indebolita. Senza sovrapporli (come accadeva nell'antropologia eurocentrica) e senza sottoporli (come accade nel caso del partecipazionista), essi non vengono proiettati, bensì stanno come altri tra gli altri. L'uso che se ne fa non è più assoluto ed esclusivo, e quindi non è proiettare: è solo accostare. L'analista - in altre parole - non ha esercitato l'epoché dei principii e delle credenze della propria cultura, pretendendo assurdamente di uscire, per così dire, da questa, ma ha sospeso, piuttosto, la loro assolutezza ed esclusività. L'analisi contrastiva accosta semplicemente le strutture di senso nostre a quelle altrui, in un atteggiamento non posizionale e non proiettivo. Da qui scaturisce il contrasto, che non presuppone alcuna identità e consente di scoprire, eventualmente, le analogie tra le strutture di senso indagate.

[Vedi: D. A. Conci, Per un trattato fenomenologico di antropologia culturale, par. 6 ].

 

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