11.

Il senso genetico di una cultura (L. Wittgenstein direbbe: "le sue Lebensformen", cioè le sue "forme di vita") è, quindi, invisibile, di norma, allo sguardo degli indigeni. Ci sono, infatti, seduti sopra. La postura indigena, in quanto tetica, pone sensi ed esistenze molteplici e, in sede di coglimento, l'ovvietà di quanto è stato posto - che significa "la credenza nell'essere già dato" di tutto ciò - occulta il senso intenzionale costituente di essi.1 Alla domanda del rilevatore sul campo: "perché fai così?", l'indigeno risponderebbe: "perché così hanno fatto mio padre e il padre di mio padre". Oppure narrerebbe, se ci fosse, un mito ergogonico del proprio patrimonio culturale. Naturalmente queste risposte non sono in tono con il fine antropologico della domanda. Tuttavia, questi "sensi fondamentali", invisibili quasi sempre all'indigeno nella fisiologia delle culture del pianeta e rese visibili solo faticosamente, in particolare, dall'antropologo fenomenologo, sebbene non se ne stiano silenti in un isolamento metafisico, quasi vivessero in un arcano altrove ultraterreno, essendo sedimentati, di fatto, nei segni culturali stessi e congelati dall'oggettivismo, possono essere portati alla luce del giorno solo mediante un complessa analisi decostruttiva che muova dopo una radicale epochè dell'oggettivismo.

Si prendano, ad esempio, degli svariati segni culturali, già raccolti via via dall'etnografo, e si rivolga loro un'attenzione fenomenologica che decostruisca pazientemente le loro complessioni intenzionali noematiche, specialmente, poi, se essi "hanno un'aria stravagante": credenze, atteggiamenti, gesti, costumi, istituzioni, rituali, oggetti immobili e mobili, etc.. Come è possibile, ora, cogliere il senso intenzionale che li ha generati e li anima senza individuare, in via preliminare, le strutture fondamentali (o di base) di senso della cultura cui quei segni appartengono e cioè i loro modelli di spazio e di tempo per ordinare il molteplice, le loro leggi logiche per allestire le connessioni tra i dati e l'indole specifica dei loro contenuti manifestativi, con i quali le culture, assemblando il tutto, hanno potuto immaginare la totalità di un esistente lontano dal caos, cioè, in definitiva, gli dei, il mondo e l'uomo ? Penso proprio che non ci siano altre alternative analitiche.

 

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1. È il vissuto specifico "dell'imbattersi involontario, per caso" in qualcosa che si erga da sé, autonomamente, "intorno ad una coscienza", abbracciandola, per così dire, a connotare sempre una Selbstgegebenheit, presunta o reale, a differenza della Gegebenheit, che appare sempre "come un oggetto di fronte ad un soggetto" e la cui genesi "costruttiva" è, invece, manifesta.

 

 


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